Appuntamenti

01/05/2009

Fiducia e cooperazione

Intervista di Fabrizio Conti a Sergio Rossi, autore di 'Fiducia e cooperazione', su 'BancaInforma - Quadrimestrale d'Informazione della BCC Giuseppe Toniolo' (anno VIII - n. 1 - aprile 2009).

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Riportiamo qui di seguito l’intervista realizzata da Fabrizio Conti a Sergio Rossi, autore di "Fiducia e cooperazione", su "BancaInforma - Quadrimestrale d'Informazione della BCC Giuseppe Toniolo" (anno VIII - n. 1 - aprile 2009) in uscita in questi giorni.

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"Fiducia e Cooperazione" alla base dell'impresa moderna

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Intervista a Sergio Rossi

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Venerdi 13 marzo, nella bella "Sala degli specchi", presso il Comune di Frascati, si è svolta la presentazione del volume "Fiducia e Cooperazione" di Sergio Rossi, esperto di information technology e, attualmente, docente a contratto presso l'Università di Urbino "Carlo Bo". Erano presenti il sindaco di Frascati, Francesco Paolo Posa, e Massimo Russo, docente di Sociologia presso la stessa Università di Urbino.

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Il nodo centrale del lavoro di Sergio Rossi ruota attorno ad una problematica centrale per il tessuto imprenditoriale ed economico attuale: il meccanismo che rende possibile la collaborazione tra persone e imprese. Focus della ricerca è tessuto produttivo che rappresenta la spina dorsale della nostra economia, quello delle piccole e medie imprese. Un discorso interessante e attuale. dunque, che molto potrebbe dire anche sulla situazione e le potenzialità di realtà come il Credito Cooperativo, che sul rapporto tra persone e imprese basa la sua stessa ragione di essere.

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Ma ascoltiamo dalle parole stesse dell'autore, nell'intervista che abbiamo realizzato, alcune considerazioni sui temi più importanti del volume.

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Come nasce l'idea di occuparsi del tema della fiducia e della cooperazione?

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Ho lavorato a Iungo come tecni­co e manager in diverse imprese italiane, per poi ricoprire il ruolo di direttore Ricerca e Sviluppo di un'azienda del settore tecnologie informatiche. Per oltre dieci anni il mio obiettivo è stato quello di ideare nuove tecnologie Ict e di supportare lo sviluppo delle im­prese di grande, media e piccola dimensione attraverso l‘adozione di questi strumenti. Nel mio lavoro prestavo sempre molta attenzione agli aspetti organiz­zativi, cercando di capire cosa poteva contribuire al successo e cosa viceversa lo allontanava, a prescindere dalla qualità dei prodotti d‘impresa. Iniziai, così, a raccogliere elementi sui comportamenti degli imprenditori, nelle relazioni tra pari e con gli enti significativi (associazioni di categoria, "nodi di accesso" alle istituzioni e al credito) e mi accorsi ben presto che le parole "fiducia" e "collaborazione" ri­correvano molto spesso nei loro discorsi. Sembrava che la loro sensibilità su questi temi fosse piuttosto alta. Quindi, difronte agli inviti a "fare sistema" mossi da Con­findustria e dallo stesso Presidente della Repub­blica (senza dimenticare il famoso "damose da fa" rivolto alle famiglie da Giovanni Paolo II), sa­rebbe stato logico atten­dersi un effetto significa­tivo sulle coscienze di imprenditori e politici, inducendoli a cooperare in ogni ambito. Eppu­re sappiamo bene che le cose sono andate diver­samente, anche se non dappertutto. Così decisi di rielaborare i dati rac­colti per provare a de­scrivere organicamente le deduzioni a cui ero giunto grazie ai miei studi sociali ed economici su questi temi. L'idea di un libro arriva però solo dopo due anni, nel 2008, corroborata dal prof. Massimo Russo, ricercatore e docente di Sociologia all'Università "Carlo Bo" di Urbino, nel clima econo­mico attuale che rende, se possi­bile. ancora più seri questi temi.

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Di quali settori dell‘economia tratta in particolare il suo lavoro?

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Mi sono interessato soprattutto del cosiddetto Made in Italy, ca­ratterizzato da un fitto tessuto di medie, piccole e micro imprese manifatturiere nate e sviluppa­tesi con un forte legame con il territorio e con una spiccata vo­cazione artigianale. Negli anni il Made in Italy si è dilatato sino a ricomprendere i servizi in grado di gestire, oltre le fasi di ideazio­ne e produzione, anche quelle di distribuzione e commercializza­zione dei prodotti. Quest'ultimi oggi spaziano dai beni industriali ai prodotti tipici dell'agricoltura e del turismo. In quest'ambito ho preso a riferimento due di­stretti dell'abbigliamento, il di­stretto industriale della Valle del Liri (FR) e quello, meno struttu­rato, dei confezionisti di Bologna e province adiacenti. In entrambe le aree ho trovato una scarsa propensione alla collaborazione orizzontale (ossia tra imprese), ma gli esiti della ricerca non sono così scontati in quanto la fiducia tributata ai personaggi chiave del reticolo economico ed istituzionale ha prodotto una sostanziale differenza tra i due distretti.

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Di che tipo di fiducia si trattava?

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Come descrivo nella par­te teorica del mio libro, i tipi di fiducia sono diver­si, per brevità qui richia­mo quella interpersonale e quella generalizzata. Nella mia ricerca ho ri­levato che, malgrado una buona organizzazione territoriale, la mancanza di fiducia interpersonale tra gli attori economici è un grosso freno per lo sviluppo sociale ed eco­nomico di un'area. In altri termini, i compor­tamenti diffidenti tra le parti stimolano la creazione di buona reputazione nel circuito ed assicurano adeguate sanzioni sociali ai comportamenti oppor­tunistici, ma ciò non basta ad attivare la "macchina" virtuosa del sistema. Quando la collabo­razione non è spontanea, come in questi casi, un aiuto può ar­rivare da particolari persone che, per la loro personalità e per il ruolo istituzionale che rivestono, sono capaci di diffondere fiducia generalizzata. Questo è proprio quello che, in concreto, ho rileva­to nella mia ricerca.

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Dobbiamo dedurre che dove c’è fiducia generalizzata c’è cooperazione spontanea?

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Certamente i tanti studi sul cosiddetto capitale sociale di­mostrano proprio che in aree geografiche dove la fiducia ge­neralizzata è più alta le persone collaborano deliberatamente per la cosa comune.

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Ma il mio lavoro dimostra che la cooperazione orchestrata, ossia quella collaborazione tra parti regolata da una figura cen­trale, produce senz'altro risulta­ti positivi sul piano economico. E poichè la cooperazione può essere anche accidentale, ossia può essere attivata, come avviene nel mondo animale, da un'espe­rienza di successo dopo la quale la caccia della preda o la difesa dal predatore non potrà che es­sere in gruppo, le situazioni di cooperazione orchestrata pos­sono causare fiducia generaliz­zata verso l'organizzazione che sopravviverà all'imprenditore sociale. La cooperazione orche­strata la vedo quindi solo come punto di partenza e non come punto di arrivo di un sistema, che dovrebbe essere quello della collaborazione deliberata tra gli attori economici.

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Come vede la situazione in Italia da questo punto di vi­sta?

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Non sono in condizione di darle una risposta così impegnativa, le posso solo dire quella che è stata la mia esperienza nell'am­bito economico che ho studiato. Quando ho condotto le interviste

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(2005-2006) si stava compiendo quel processo di trasformazione delle nostre imprese che era seguito all'ingresso della Cina nel WTO e che era costato al set­tore del tessile-abbigliamento qualcosa come 120 mila posti di lavoro. La recente crisi è inter­venuta quando questo processo non era ancora completato ag­giungendo ulteriore complessità alle decisioni strategiche. Ma si farebbe un errore se si pensasse che la trasformazione in atto sia da ridiscutere o che sia sufficien­te competere sui mercati solo at­traverso la qualità medio-alta dei nostri prodotti. Le recenti politiche governative cinesi, che incentivano gli accentramenti di imprese e la qualità del prodotto esportato, ci indicano che l’asticella a breve si alzerà e che, per­tanto, si dovrà competere anche sui segmenti più alti di prodotto. Dunque la partita si giocherà sì sulla qualità, ma anche sulle di­mensioni d'impresa e sulle atti­vità di marketing che promuovono l'immagine di marca ed il nostro territorio sui mercati di sbocco sia nazionali che internaziona­li.

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Nel mio libro parlo inoltre di come sia necessario cercare di accorciare la cosiddetta filiera a valle, ossia verso il cliente fina­le, disintermediando grossisti e distributori che non forniscono valore aggiunto. Le imprese che sono riuscite a farlo hanno aumentato i margini di profitto ed accresciuto la propria sensibi­lità riguardo ai gusti dei propri clienti. Il programma governati­vo "Industria 2015" mi sembra vada in questa direzione, ma quali imprese riusciranno ad ac­cedervi?

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Autori

Rossi Sergio